Gli inizi nell’età del bronzo
I primi insediamenti nel Capodistriano risalgono alla media età del bronzo (II millennio a.C.), quando fanno la loro comparsa di castellieri. La cultura dei castellieri, diffusa soprattutto tra le tribù illiriche degli Istri, persiste fino all’arrivo dei Romani (178/177 a. C.) e alla fondazione della colonia di Tergeste (l’odierna Trieste). L’arrivo dei Romani portò gli abitanti a scendere dalle alture e a prediligere gli insediamenti nella pianura costiera che offrivano maggiori opportunità di sviluppo rurale. Un ruolo importante inizia ad essere ricoperto da due coltivazioni particolarmente impegnative, l’ulivo e la vite, che diventano proprio in quest’epoca le colture tradizionali dell’entroterra Capodistriano.
L’età romana
L’insediamento romano di Aegida, situato secondo alcuni storici alle pendici del Sermino nei pressi della foce del Risano, secondo altri invece sull’isola rocciosa dove sorse poi Capodistria, è citato già da Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis. L’avamposto commerciale di Aegida divenne, dopo l’occupazione romana, un importante emporio – nel II e nel I sec. a.C. le popolazioni romanizzate iniziarono a sviluppare l’insediamento che presto divenne, secondo lo schema tipico dell’amministrazione provinciale romana, un oppidum civium Romanorum.
I pochi reperti romani risalenti alla tarda epoca repubblicana rappresentano la più antica testimonianza dell’insediamento umano sull’isola, all’epoca detta Caprae o Capris. Dai resti qui rinvenuti si evince che la popolazione era dedita soprattutto alla pesca, alla raccolta dei molluschi, all’arte della lana, alla lavorazione dei metalli, alla produzione di pentolame in ceramica e vetro; dall’odierna Italia settentrionale venivano invece importate le ceramiche fini, le lampade ad olio e le anfore.
Le fonti storiche sull’Istria in epoca romana sono scarse. Ai tempi di Augusto l’Istria formava, insieme al Veneto, un’unità territoriale e amministrativa detta decima regio che è poi confluita, seppur con qualche modifica, nella provincia tardoromana Venetia et Histria. Il confine dei possedimenti romani in Istria correva dapprima lungo il fiume Risano (Formio), poi lungo il fiume Arsia. L’entroterra Capodistriano era costellato di villae rusticae, mentre risulta quantomeno probabile che sull’isola si trovassero più edifici di carattere culturale. Nonostante la sua posizione ottimale per i fiorenti commerci tra Aquileia e Parenzo (Parentium), Capris probabilmente non assurse mai alla dignità di municipio romano, rimanendo un oppidum legato al centro coloniale di Tergeste che ha continuato a rappresentare, fino alla fine dell’età imperiale, il centro economico e amministrativo della provincia.
Periodo tardoantico
Nel periodo tardoantico l’importanza dell’insediamento crebbe – l’odierna Capodistria divenne, infatti, una delle roccaforti di approvvigionamento del sistema difensivo del Carso (claustra Alpium Iuliarum). Tuttavia, la situazione incerta durante il V secolo, periodo di grandi migrazioni, costrinse le popolazioni continentali a spingersi verso la zona costiera e l’isola – quest’ultima acquisì allora i tratti tipici di una città tardoantica. I reperti confermano la presenza di truppe militari sull’isola capodistriana nel periodo a ridosso tra il IV e il V secolo, dimostrando al contempo il sempre più importante ruolo strategico e difensivo dell’insediamento, ma anche uno sviluppo demografico dovuto all’afflusso di migranti da territori contigui e più remoti.
Capodistria sotto il dominio bizantino
In seguito alla lunga guerra gotica, verso la metà del VI secolo l’Istria divenne, insieme all’Italia, una provincia bizantina. Più tardi, dopo la conquista dell’Italia settentrionale e centrale da parte dei Longobardi nella seconda metà del VI secolo, fu istituita una nuova forma di governo con un più marcato carattere militare che avrebbe dovuto rafforzare il potere difensivo di Bisanzio nelle province periferiche. In quest’ambito fu istituito l’esarcato di Ravenna o d’Italia, con sede a Ravenna, e l’Istria ne divenne una delle province a statuto speciale. La suddivisione amministrativa del territorio prevedeva alcune città maggiori e alcuni insediamenti secondari (castra castella). Tra gli insediamenti della costa istriana, un anonimo geografo ravennate menziona nella sua opera Cosmographia (VII sec.; lo scritto si rifà tuttavia a fonti più antiche del V e del VI sec.) anche Pirano e Capris (Capodistria).
Le prime fonti scritte su Capodistria risalgono al 599 – papa Gregorio I parla nelle sue lettere di un insediamento urbano detto Caprae e Inslula Capritana. I cronisti e gli storici fanno risalire la fondazione di Capodistria alla seconda metà del VI secolo, riconducendola all’imperatore bizantino Giustino II che concesse agli istriani la costruzione di una città, Justinopolis.
Lo status di Capodistria, all’epoca già definita “città” dai cronisti bizantini, era in gran parte dovuto alla presenza del vescovo quale alto rappresentante della Chiesa. Papa Gregorio I, seguendo i principi della propria politica e in contrasto con i canoni ecclesiastici, concesse a Capodistria l’istituzione della curia vescovile (599), ma soltanto in via temporanea. La leggenda vuole che il primo vescovo, nominato già nel 524, fosse San Nazario. Al suo arrivo e alla sua opera tra i fedeli andrebbero attribuiti numerosi miracoli; è per questo motivo che verso la fine del XIV secolo la sua figura divenne oggetto di culto.
Verso la fine dell’VIII secolo l’Istria fu occupata dai Franchi e divenne parte integrante della Marca friulana. Inoltre, i Franchi appoggiarono le rivendicazioni economiche delle popolazioni slovene a scapito della borghesia romanza. Le autorità incentivavano la colonizzazione dei nuovi territori acquisiti in Istria e vi instaurarono un regime di tipo feudale. Ciò accelerò l’insediamento di nuove comunità slovene nell’entroterra delle città costiere, fenomeno che modificò sostanzialmente la struttura etnica delle campagne. Gli insediamenti delle popolazioni slave pagane e le violenze perpetrate nei confronti della borghesia portarono a scontri e conflitti che si cercò di placare con l’assemblea di Risano (804), tenutasi “in territorio Caprense in loco cui dicitur Riziano”. All’adunanza presero parte i legati dell’imperatore Carlo Magno, i cosiddetti misi dominici, i rappresentanti delle autorità ecclesiastiche e temporali delle città istriane e dei castra, il patriarca di Grado e il duca d’Istria Johannes. I conflitti furono risolti a beneficio delle città istriane, ma la colonizzazione slovena dell’entroterra continuò fino a raggiungere la costa. Il Placito di Risano è oggi una delle fonti più importanti sui primi insediamenti sloveni in Istria.
Il consolidamento del potere di Venezia sull’Adriatico settentrionale, il Regnum Italicum e il Patriarcato d’Aquileia
Con la pace di Aquisgrana del 812, Bisanzio perse il potere sull’Istria, mantenendo tuttavia l’egemonia sul Veneto e la costa dalmata. A ciò fece seguito un consolidamento del ruolo di Venezia che gradualmente si affrancò da Bisanzio, diventando una potenza marittima nell’Adriatico e influendo fortemente sul successivo sviluppo della penisola istriana. In seguito alla suddivisione dell’impero franco, il territorio di Capodistria entrò a far parte del Regno d’Italia (Regnum Italicum), poi (952) del Ducato di Baviera, successivamente (976) del Ducato della Carinzia e, infine, del Patriarcato d’Aquileia. Furono proprio i patriarchi, all’epoca in lotta contro Venezia, ad elevare Capodistria tra le principali città del patriarcato, conferendole il nome di Caput Histrae. Grazie ad un’accorta politica, la città ottenne nel 1186 il rango di Comune, seguendo l’esempio delle altre città dell’Italia settentrionale e della Dalmazia. Nello stesso anno fu costituita una diocesi autonoma, e ciò contribuì notevolmente ad un rapido sviluppo e all’acquisizione di una posizione egemone rispetto alle altre città della penisola istriana.
L’autonomia cittadina raggiunse il suo apice ai tempi del podestà Marino Morosini (capitaneus civitatis Iustinopolis), che deteneva un ampio potere militare, politico e amministrativo. Morosini seppe trarre profitto dalla favorevole situazione economica per ampliare e riorganizzare la città; nel 1269 fece costruire la prima Loggia cittadina. L’edificio era sede delle adunate del consiglio cittadino (arengo), ma anche luogo di promulgazione degli editti, della nomina dei beneficiari fiscali e dei funzionari cittadini che dovevano provvedere alle derrate alimentari. In quest’epoca furono costruiti i principali edifici pubblici tipici di un Comune: la potestas Iustinopolis e la potestas Marchionis che rappresentarono una prima base per il successivo Palazzo Pretorio; la torre di avvistamento e difesa romanica che fu riconvertita dai Veneziani ad uso cultuale, la basilica romanica a tre navate situata nella zona dove più tardi sorse l’attuale Duomo di Capodistria.
Nella parte orientale della città (Caprile) sorsero i primi monasteri e conventi: tra essi va citato quello francescano (1265) al quale si aggiunsero, circa un secolo più tardi, quello delle clarisse (Santa Chiara) e quello delle augustiniane (San Biagio).
Nel tentativo di incrementare il proprio potere politico ed economico, la città si alleò con i conti di Gorizia nella lotta contro il patriarca di Aquileia e le altre città istriane che non vedevano di buon occhio la sua posizione egemone. Ma l’Adriatico settentrionale con l’Istria e la costa dalmata era, al tempo delle crociate, già soggetto delle mire economiche e politiche della Serenissima, che stava diventando la potenza commerciale e marittima per eccellenza del Mediterraneo.
Venezia iniziò a stipulare accordi di scambi commerciali e ad instaurare rapporti di amicizia con le città istriane. Accordi importanti tra Capodistria e Venezia furono sottoscritti nel 932, nel 977 e nel 1145. In questo modo, la città istriana iniziava a dipendere sempre più da Venezia, ma al contempo acquisì, nel 1182, importanti privilegi nel commercio del sale con la stipula del “contratto del sale”.
Nella storia politica della città è inoltre importante ricordare l’atto di concessione sottoscritto dall’imperatore tedesco Corrado II (1035) che regalò alla municipalità alcuni borghi dell’entroterra confermando il loro status giuridico già presente nei documenti del X secolo. Nel 1222 l’imperatore Federico II riconfermava i privilegi concessi a Capodistria salvaguardando l’autonomia cittadina che venne poi meno nella seconda metà del XIII secolo in seguito alle lotte per il potere politico ed economico in Istria. Come molte altre città istriane, anche Capodistria dovette riconoscere, nel 1279, lo strapotere militare di Venezia. Nel 1279 terminava così un capitolo importante della storia della città, contrassegnato dall’instaurarsi di una forma di autogoverno e della costituzione di istituzioni di amministrazione municipale. Dopo questa data, ma in particolare dopo la mancata rivolta del 1348, si aprì un nuovo, non meno importante e affascinante capitolo della storia di Capodistria, che rimase legata alle sorti della Repubblica di Venezia fino alla fine del XVIII secolo.
Il periodo che va fino agli inizi del XV secolo fu per Capodistria uno dei più difficili e bui, contrassegnato dalla fine dell’autonomia cittadina e dei privilegi municipali. Inoltre, la città fu saccheggiata dai Genovesi nel 1380, durante la Guerra di Chioggia. Alle razzie militari seguirono periodi di fame e peste che sfinirono il comune di Capodistria.
Le difficoltà economiche e la povertà venivano in qualche modo mitigate, a cavallo tra il XIV e il XV secolo, dai numerosi artigiani, commercianti e banchieri fiorentini che qui aprirono i propri uffici di cambio, le banche e le botteghe artigiane. Gradualmente si aggiunsero a loro, soprattutto nel settore bancario, gli ebrei, mentre ai bordi della città continuavano ad arrivare sempre più Sloveni che si occupavano della produzione del sale, della pesca e dell’agricoltura. Capodistria fu l’unica città a conoscere, tra la propria popolazione, i paolani – contadini di città che vivevano nell’area urbana e uscivano quotidianamente per recarsi nel circondario a coltivare i propri campi.
Alla vita cittadina iniziarono a partecipare in maniera sempre più strutturata anche i numerosi ordini ecclesiastici, tra loro soprattutto i francescani, i dominicani e i serviti, seguiti poi dai frati minori conventuali e dai gregoriani.
Durante il medioevo, la cittadinanza era suddivisa in due classi sociali, i patrizi e i popolari. Già nel XIV secolo i patrizi più importanti, i grandi possidenti e quelli che detenevano le più alte cariche cittadine, entrarono a far parte del Consiglio maggiore che fu ripristinato nel 1416 quando furano redatti gli statuti della città.
Un cambiamento epocale si ebbe nel 1420, quando in queste terre venne definitivamente abolito il potere temporale dei patriarchi d’Aquileia e Venezia poté instaurare un sistema amministrativo e giuridico unitario.
Venezia assume il potere
Nel nuovo sistema amministrativo, politico e giuridico, Capodistria andava acquisendo un ruolo sempre più importante. I possedimenti cittadini ora confinavano direttamente con quelli degli Asburgo che dal 1382 comprendevano anche Trieste. Capodistria vantava quindi di tutte le condizioni per poter gareggiare con Trieste e opporsi alla sua egemonia commerciale, soprattutto dopo la vittoria di Venezia nel 1463. La città vantava numerosi benefici strategici; l’ubicazione insulare le conferiva inoltre un vantaggio tattico: il mare, oltre alla forte cinta muraria con il Castello del leone, costituiva una difesa inespugnabile.
Con la progressiva organizzazione in province, anche Venezia decise di rinsaldare l’autorità dei podestà di Capodistria che nel XVI secolo divennero dei veri e propri governatori di provincia con ampi poteri: erano infatti i responsabili del controllo e della vigilanza sui comuni istriani, dei procedimenti giudiziari nelle cernide e rappresentavano l’autorità militare sull’area costiera. Già dal 1349 l’aristocrazia di Capodistria eleggeva, tra i propri membri, un rappresentante degli sloveni dell’entroterra cittadino, il cosiddetto capitanus Sclavorum, responsabile di tutte le istruttorie e le liti nell’entroterra. Si tratta di un esempio unico, sia in Istria sia probabilmente altrove, di tale carica amministrativa appositamente assegnata alle campagne, a dimostrazione di una ben organizzata popolazione slava su questa parte della penisola ancora prima del dominio veneziano. Anche le guerre commerciali di Venezia fecero aumentare il prestigio di Capodistria che rimase per lungo tempo il più importante avamposto commerciale per una zona territoriale alquanto ampia, il che mitigò la perdita dell’autonomia nei traffici marittimi. La richiesta dei prodotti agricoli del Capodistriano fece ovviamente balzare i loro prezzi – a beneficiarne furono soprattutto le produzioni di vino, olio e frutta, attività che affiancarono così la pesca e alla raccolta di sale. Verso le regioni continentali, soprattutto verso la Carniola, venivano esportati il vino, il pesce, l’olio e il sale, mentre in città giungevano i commercianti (mussolati) con i loro carichi di grano, carni, formaggi, legno, tele, ferro e altre merci.
Il fiorente commercio fece di Capodistria la più ricca e la più popolosa città istriana del XVI secolo – prima della grande epidemia di peste del 1554 la città contava addirittura 9 o 10 mila abitanti. Non a caso nei documenti veneziani di quel periodo troviamo scritto: »Civitas Iustinopolis est principale membrum quod habemus in Istra« (Capodstria è la città più importante che possediamo in Istria). Lo conferma il fatto che nella città veniva istituito, proprio in questo periodo, un ufficio esattoriale (Camera fiscale) presente in solo tre città della terraferma afferente alla Serenissima. Inoltre, nel 1584 Capodistria divenne sede anche della Corte d’appello (Magistrato di Capo d’Istria) che aveva giurisdizione su tutto il territorio istriano sotto il dominio di Venezia. Con l’istituzione di questo tribunale la giurisdizione della provincia venne di fatto unificata. In cambio di un totale monopolio economico, Venezia garantiva a Capodistria importanza e prestigio: anche qui, come nella stessa Venezia, si svolgevano, ad esempio, gare tra cavalieri, tornei, regate, carnevali e fiere. Le prime fiere in Campo Marzio vengono menzionate dagli statuti già nel 1493; nel 1546 fu ripristinata la fiera di San Nazario, mentre le ultime e le più conosciute fiere di Capodistria risalgono al 1642 e venivano da allora organizzate in Piazza Brolo in onore a S. Ursula. Il patrono cittadino, San Nazario, era oggetto di culto fin dagli inizi del XV secolo, quando i genovesi restituirono a Capodistria le reliquie trafugate del santo. La tradizionale festa con la fiera e la processione veniva organizzata ancora nel XIX scolo e fino all’inizio della seconda guerra mondiale.
Lo sviluppo culturale
La città continuava ad acquisire prestigio e fama anche in ambito culturale ed artistico. Il patrimonio culturale giunto fino a noi e le varie fonti documentarie testimoniano di un legame profondo tra Capodistria e Venezia e, in generale, tutto il territorio italiano; oltre ai maestri stranieri, agli artisti e agli architetti che hanno lasciato tracce indelebili del proprio lavoro, furono attivi anche molti artisti locali, soprattutto nel periodo di massima fioritura della produzione locale, tra il XV e il XVIII secolo.
Lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento iniziò ad affermarsi in città già nel XV secolo, ma imperò soprattutto nel secolo successivo. Importanti studiosi ed umanisti fondarono la scuola umanistica che accolse i figli dei nobili provenienti da varie città istriane. Tra i precursori dell’Umanesimo capodistriano va citato soprattutto Pietro Paolo Vergerio il Vecchio (1370-1444) che si occupò principalmente di teatro, pedagogia, filosofia, storia e politica. Tra le varie opere ricordiamo in particolare la breve descrizione e storia di Capodistria De situ urbis Justinopolitanae.
La vita culturale della città era segnata soprattutto dalle accademie – la prima, dal nome Compagnia della Calza, si occupava dell’organizzazione dei tornei cavallereschi, secondo lo spirito dell’epoca. Furono in seguito istituite anche l’Accademia dei Desiosi (1553), l’Accademia Palladiana e l’Accademia dei Risorti, attive nel XVII secolo. Ovviamente la vita culturale era saldamente in mano ad una piccola minoranza di intellettuali, quasi tutti appartenenti all’aristocrazia e alla Chiesa. In questa cerchia furono accolti anche i membri di alcuni ordini religiosi, soprattutto francescani, domenicani, osservanti e gregoriti, poi seguiti dai cappuccini, scolopi o piaristi che si dedicavano all’educazione dei giovani aristocratici nel Collegio dei Nobili. La scuola venne fondata nel 1675 ed era frequentata da giovani provenienti non solo dall’Istria, ma anche dalla Dalmazia e da altre regioni. Si trattava, di fatto, della miglior scuola di tutta l’Istria veneta, un istituto che poteva competere con i collegi dei Gesuiti in Italia e Austria.
La città e i suoi abitanti erano spesso oggetto di elogi da parte dei numerosi visitatori, tra i quali va citato il legato apostolico nonché vescovo di Verona Agostino Valier che giunse in città nel 1580. La città gli piacque e rimase affascinato dalla sua cultura e dalla vita sofisticata. Il nome (Capo d’Istria) e la realtà dei fatti confermavano, a suo dire, che la città era di fatto la più importate tra le molte altre presenti in territorio istriano, arricchita da numerose chiese e da imponenti palazzi, ma anche luogo di attraenti eventi pubblici dove gli abitanti indossavano abiti magnifici; la città, inoltre, era nota per i suoi commerci e per i molti uomini di scienza che vi risiedevano. Valier ci teneva a sottolineare che da una parte della città davano verso il mare le ricche saline, fonte importante dei gettiti cittadini, mentre le terre circostanti erano coltivate con cura e producevano eccellenti vini, tra i quali soprattutto uno definito “regale” (regium) essendo particolarmente gradito alle mense dei sovrani.
L’arte rinascimentale lasciò a Capodistria un’impronta molto marcata. Fino ad oggi sono rimaste custodite in varie chiese – soprattutto nella cattedrale e nella pinacoteca del museo – opere pittoriche e scultoree di grande pregio, realizzate da Vittore e Benedetto Carpaccio, Gerolamo Santacroce, Tiziano Aspetti, Girolamo Campagna e altri. Agli albori del barocco incontriamo a Capodistria il pittore Zorzi Ventura, proveniente da Zara, che divenne il rappresentante centrale della pittura manieristica tra il XVI e il XVII secolo, mentre la prima parte del XVII secolo resta contrassegnata soprattutto dalla presenza delle botteghe di Palma il Giovane, Jacopo Tintoretto e, in seguito, Paolo Veronese. Sul finire dell’età barocca, che aveva lasciato la sua impronta anche nella musica (va ricordata, ad esempio, l’opera di Antonio Tarsio), lo slancio creativo di Capodistria andò scemando, sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo. Nonostante le difficili condizioni economiche e sociali, il Barocco fu, tuttavia, ancora molto movimentato e fecondo, tanto da poter essere paragonato all’Umanesimo e al Rinascimento.
L’espansione della città
Lo sviluppo economico e la crescita demografica portarono, nel XVI secolo, all’espansione della città oltre i confini naturali dell’isola. Con l’intensa opera di bonifica furono strappate al mare nuove aree, come dimostrato dalle recenti ricerche archeologiche nei pressi delle piazze più esterne. Su una vasta area sorse il centro storico medievale propriamente detto, completamente cinto dalle mura cittadine e dalle torri difensive.
L’immagine e la struttura del centro cittadino risalgono quindi al XV e al XVI secolo, quando l’attività edile fu più intensa. Nella mappa della città elaborata da Giacomo Fino (1619) sono già ben visibili le due piazze principali (Platea Comunis, in seguito Piazza del Duomo, e Piazza Brolo), nonché otto piazze esterne collocate in prossimità delle mura – tutte, ad eccezione di due, con lo sbocco su piccoli porti (mandracchi).
La piazza principale era contornata dai più importanti edifici pubblici a rappresentanza del potere politico e religioso: il Palazzo Pretorio, sede dei podestà (sindaci) e dei capitani (il comando militare), la Foresteria e l’Armeria, sede degli uffici pubblici e, per un certo periodo, il Monte di Pietà, la Loggia cittadina e il Duomo con la Torre Cittadina. La piazza stessa aveva, ai tempi della Serenissima, un carattere funzionale e di rappresentanza. Con lo sviluppo del sistema politico e amministrativo, ma anche della vita sociale e culturale, divenne il luogo prediletto per le cerimonie di carattere secolare e religioso, conferendo a Capodistria l’immagine tipica delle città italiane e dalmate.
L’attività edile, già sviluppatasi nel periodo gotico e rinascimentale, continuò a fornire anche durante l’età barocca un contributo notevole all’urbanizzazione della città, grazie soprattutto ad alcuni importanti interventi regolativi. In questo periodo sorsero nuovi palazzi ed edifici pubblici, paragonabili per estetica ed importanza ad altri palazzi simili realizzati nelle altre città della Serenissima. I nuovi committenti e i loro architetti, tra i quali va citato soprattutto il famoso architetto veneziano Giorgio Massari, aderivano in larga misura agli esistenti valori paesaggistici della città con la sua impronta gotica e rinascimentale.
Ma l’immagine scintillante e maestosa della città con la sua fervente vita artistica e culturale non poteva celare le ombre che oscuravano i suoi orizzonti: la provinciale Capodistria non poteva fornire sufficienti opportunità a uomini di chiara fama, che pertanto iniziarono ad abbandonare la città. È l’esempio, tra gli altri, del famosissimo medico Santorio Santorio (1561-1636), noto tra i contemporanei e i posteri soprattutto per il suo lavoro De statica medicina, ma anche per l’introduzione, nella pratica medica, di strumenti di precisione. Negli ambienti medici si era formato anche Girolamo Vergerio che divenne, nel 1653, professore ordinario a Pisa e poi, nel 1665, direttore della cattedra di medicina a Padova, su invito del senato veneziano.
L’Inquisizione e il Protestantesimo
Ma a lasciare Capodistria non furono soltanto uomini illustri: molti abitanti furono banditi dalla città, soprattutto quando l’Inquisizione iniziò a perseguitare i seguaci delle dottrine luterane. Già Nicolò Manzuoli, nella sua opera Nova desctittione della provincia dell’Istria, con la vila delli Santi e Sante di detta provincia (1611) narra che nel XVI le dottrine eretiche erano diffuse non solo tra i nobili e gli intellettuali, ma anche tra i semplici cittadini. Tra i più ferventi sostenitori della riforma va ricordato il vescovo di Capodistria, Pier Paolo Vergerio il Giovane (1498-1565), che voleva bandire dalla propria diocesi gli abusi frequentemente perpetrati da una parte del numeroso clero e dalle confraternite, nonché la superstizione diffusa tra la popolazione. Così facendo si attirò addosso le ire degli uni e degli altri e fu denunciato all’Inquisizione; Vergerio subì un processo al termine del quale fu dichiarato eretico da papa Paolo III che gli revocò la dignità episcopale. A quel punto, Vergerio non si sentiva più al sicuro nei territori della Serenissima, quindi raggiunse la Germania, passando per la Svizzera, a si dedicò alla riforma. Offrì i suoi servigi quale consulente al duca Cristoforo e aiutò Primož Trubar, padre del protestantesimo sloveno, a stampare i primi libri in lingua slovena. Già ai tempi della sua carica episcopale a Capodistria aveva infatti sentito l’esigenza di sostenere le omelie in lingua slovena, tenute all’epoca dai francescani nel convento dei gregoriani.
Dopo la cacciata di Vergerio dovettero abbandonare l’Istria anche altri personaggi importanti legati ai movimenti della riforma protestante, ad esempio Ottonielo Vida di Capodistria, Gianbattista Goineo, Marco Caldana e Marco Antonio Venier di Pirano e molti altri. La dottrina protestante fu bandita da Capodistria già verso il 1570, ma la sede dell’Inquisizione operò in città fino al 1582.
Dopo il Concilio di Trento iniziò a scemare in Istria anche l’uso dell’alfabeto glagolitico, grafia tradizionale della liturgia slava, mentre i vescovi e gli alti prelati stranieri spesso osteggiavano le pratiche liturgiche in slavo. Nonostante ciò alcuni vescovi istriani dimostravano ancora interesse per l’uso del glagolitico. Tra questi spicca soprattutto la figura del vescovo capodistriano Paolo Naldini che nel 1710 diede vita ad un seminario italo-slavo (Seminarium Italo-Sclavorum Naldinianum) e continuò a ribadire, attraverso i suoi scritti, l’importanza che tale istituzione aveva per l’entroterra slavo. Inoltre, in più punti della sua nota opera Corografia ecclesiastica o sia Descrittore della Citta’ e dela Diocesi di Giustinopoli detto volgarmente Capo d’Istria sosteneva la fratellanza tra le genti italiane e slave nella diocesi di Capodistria.
Il declino di Venezia e lo sviluppo di Trieste
Nel XVII e XVIII secolo, in seguito al declino del potere economico e politico di Venezia, l’Adriatico settentrionale diventò scenario di nuovi equilibri di potere. Già agli inizi del XVII secolo la Repubblica di Venezia fu scossa dalla Guerra degli Uscocchi (1615-1617) che tra l’altro depauperò pesantemente l’entroterra istriano e ne svuotò le campagne. Inoltre, il biennio 1630/1631 fu interessato da una grave epidemia di peste che colpì gran parte della popolazione di Capodistria. Soltanto nella seconda metà del XVII secolo il vescovo di Cittanova, Giacomo Filippo Tommasini, poté stimare il numero degli abitanti in circa 4.500 unità – numero che, fino alla fine della Repubblica di Venezia, non superò le 5.200 unità.
Negli ultimi due secoli di dominio veneziano, Capodistria non poteva più gareggiare con Trieste che fu proclamata, insieme a Fiume, “porto franco” dall’imperatore Carlo VI (1719). In seguito a ciò, anche gran parte dei traffici con l’entroterra fu deviato verso lo scalo triestino.
L’inefficacia dell’oramai superato modello amministrativo veneziano fu aggravata dalla crisi economica e divenne oltremodo evidente soprattutto se paragonata ai modelli fisiocratici e mercantilistici adottati dagli stati confinanti che già preannunciavano le grandi riforme dell’assolutismo illuminato.
Nonostante ciò, il rapido sviluppo della vicina Trieste incentivò le autorità di Capodistria a cercare di rivitalizzare la produzione e lo sviluppo industriale – tuttavia, i vari tentativi in tal senso fallirono, in parte per la lentezza e la rigidità delle autorità, in parte per la concorrenzialità di Trieste che non poteva essere più arginata dalla Capodistria veneziana.
Anche la vita culturale e spirituale della città perirono in un marcato provincialismo, nonostante alcuni tentativi di mantenere alta la gloria e lo splendore di un tempo. In questo periodo spicca la figura dell’illuminista Gian Rinaldo Carli (1720-1795), che diede nuova vita all’Accademia dei Risorti. Anche egli tuttavia, in seguito al fallimento della sua impresa per la lavorazione della lana aperta a Carlisburgo (Cerej), nei pressi di Capodistria, lasciò la città per trasferirsi a Milano e trovare poi un incarico alla corte austriaca. Suo cugino, concittadino e contemporaneo Girolamo Gravisi (1720-1812) fece propri molti dei tratti culturali e spirituali del celebre consanguineo, entrando con la propria ricca produzione scientifica di diritto negli annali della storia cittadina.
L’arrivo di Napoleone
Lo spirito della Rivoluzione francese investi, dopo il 1789, anche l’Istria, preannunciando una nuova era. In seguito alle vittorie di Napoleone contro l’esercito austriaco (1796/97) l’oramai fossilizzata Repubblica di Venezia si sgretolò. Con il trattato di pace di Campoformido (17 ottobre 1797), l’Austria occupò (e mantenne fino al 1805) gli ex possedimenti veneziani in Istria e Dalmazia, oltre alla terraferma e alla stessa Venezia.
Tuttavia, l’Istria conobbe un’amministrazione e una legislazione moderna, quale quella definita del Codice Napoleonico, solo in seguito al dominio francese (1805-1812). Con l’annessione dell’Istria al Regno d’Italia (1805-1809) ebbe definitivamente fine il periodo dell’oramai superato modello comunale; a quel punto furono aboliti i privilegi nobiliari ed ecclesiastici e chiusi numerosi conventi e confraternite.
L’Istria, divenuta un dipartimento, entrò a far parte delle Province illiriche nel 1809 – ciò portò ad un periodo di grandi riforme amministrative. Nel 1810 fu istituita la provincia autonoma dell’Istria con capoluogo Trieste; la nuova unità amministrativa comprendeva, oltre all’area urbana di Trieste, anche parte del Goriziano, l’Istria veneta e l’Istria austriaca.
Con il trasferimento del potere amministrativo e politico a Trieste, Capodistria perse definitivamente il proprio ruolo di centro politico, economico e culturale dell’Istria. La soppressione della prefettura, dell’intendenza di finanza, dei consigli dipartimentale e distrettuale, del tribunale commerciale e della corte d’appello, fecero diminuire il numero degli uffici della pubblica amministrazione. La popolazione complessiva della città non raggiungeva più nemmeno le 4.000 unità. A causa del blocco continentale diminuirono i traffici marittimi e commerciali, che si stavano inoltre concentrando su Trieste – con ricadute anche demografiche. Diminuì inoltre la produzione di sale, visto che le saline continuavano ad essere di proprietà del Regno d’Italia.
Durante il periodo francese, con il prefetto Angelo Calafati, Capodistria iniziò a modificare l’immagine ancora prettamente medievale che la contraddistingueva. Con nuovi interventi di urbanizzazione, le autorità miravano a farla diventare una città moderna ed ordinata che potesse mantenere il proprio ruolo politico e lo spirito libero. Da Piazza Brolo fu realizzato verso Est e fino al mare un ampio viale alberato (Calle Eugenia, in onore del viceré d’Italia e figlioccio di Napoleone, Eugène de Beauharnais): si tratta dell’odierna via Ivan Cankar. Attorno alla città fu prevista un’ampia bretella stradale, detta Napoleonica. Per merito di Calafati sorse, nel rione di Zubenaga a nord della città, il nuovo Belvedere con un bel viale alberato e la vista aperta sul mare. La cittadinanza fu grata a Calafati anche per aver portato in città un acquedotto che riforniva gli abitanti di acqua fresca e potabile, per le opere di bonifica della palude che fu per secoli origine di epidemie di malaria, e per la ricollocazione del cimitero nel rione di San Canziano, dove si trova tuttora. Era inoltre in programma anche il trasferimento dei cosiddetti contadini di città, i paolani, verso l’entroterra, nonché il trasloco dell’ospedale civico nel convento dei serviti, oramai abbandonato. Calafati, infatti, si prodigò soprattutto a rendere operativi i decreti napoleonici che prevedevano la soppressione dei conventi e delle confraternite. Furono così chiusi i conventi dei francescani, dei domenicani, delle clarisse e dei gregoriani, il che ebbe conseguenze negative soprattutto per le fasce più umili della popolazione che vi avevano fino ad allora trovato un sussidio sociale. Inoltre, la chiusura colpì la vita culturale della città: biblioteche intere che conservavano incunabuli, antichi manoscritti, opere d’arte ed oggetti sacri, andarono irrimediabilmente perdute.
La caduta di Napoleone e l’ascesa dell’Austria
Dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1814/1815), l’Austria riacquisì i vecchi possedimenti e tornò a concentrarsi su Trieste, diventata capitale del Litorale austriaco. Capodistria, oramai, rappresentava solo il suo entroterra agrario e una piccola città provinciale. Nella sua vita economica avevano un qualche ruolo le rotte marine brevi, il trasporto di ortaggi a Trieste e a Venezia e la produzione di sale. Una vera e propria attività marittima cessò di esistere; in parte fu ripresa l’attività cantieristica, in quanto Capodistria, come la vicina Rovigno, disponeva di tre piccoli arsenali. L’immagine della città continuava intanto a cambiare anche sotto la dominazione austriaca. In quell’epoca sorse una grande complesso penitenziario che impattò fortemente non solo sul panorama una volta armonico della città, ma anche sulla sua immagine pubblica: le autorità utilizzavano il penitenziario per rinchiudervi i criminali e gli oppositori politici che in una stagione di lotte risorgimentali erano sempre più numerosi.
Nel 1819 fu abbattuto anche la fortezza di Castel Leone, il simbolo del potere veneziano, che difendeva l’ingresso meridionale della città; inoltre, le autorità iniziarono a debellare le mura cittadine con le torri di guardia. Nel 1827 sorse il terrapieno con la strada che da allora collega Capodistria a Semedella. Una serie di conventi fu abbandonata già durante la dominazione francese, altri furono riconvertiti dagli austriaci, che adibirono gli edifici ad uso pubblico. Alla morte del vescovo capodistriano Bonifacio Da Ponte, la sede vescovile rimase vacante fino al 1830, quando la diocesi fu accorpata a quella di Trieste.
Entro la metà del XIX secolo la popolazione cittadina raggiunse le 6.800 unità e continuava a crescere, anche grazie alle migliori condizioni igieniche e ad un servizio sanitario efficiente. La borghesia era rappresentata soprattutto da commercianti, avvocati, imprenditori e possidenti che erano, in apparenza, leali nei confronti delle autorità austriache, ma in realtà simpatizzanti dei movimenti risorgimentali italiani che iniziarono a svilupparsi nella prima metà del XIX secolo.
I movimenti nazionali
Nel biennio 1848/1849, periodo di grandi sommosse rivoluzionarie, l’eco dei motti di Milano e Venezia raggiunse anche l’Istria, dove la borghesia sosteneva l’adesione all’Italia, mentre l’entroterra sloveno seguiva soprattutto gli avvenimenti a Vienna, nella Carniola e a Trieste. La psicosi irredentista raggiunse il suo apice soprattutto durante le guerre austro-italiane tra il 1859 e il 1866. In entrambi i conflitti furono molti i cittadini di Capodistria a partire volontari unendosi alle truppe di Garibaldi in svariati campi di battaglia nella penisola italiana.
Ma con l’avvento del periodo costituzionalista (1861) in tutto l’impero si rafforzarono i movimenti nazionali che, soprattutto in Istria, acuivano ulteriormente l’antagonismo italo-slavo. Quest’antagonismo veniva fomentato da una parte dal nazionalismo italiano forte soprattutto nelle città – ovviamente anche a Capodistria – dall’altra parte dai movimenti degli sloveni e dei croati d’Istria che con le proprie istituzioni economiche, culturali e sociali confluivano dalle campagne verso le città. La questione nazionale emerse soprattutto in merito all’uso della lingua slovena nelle scuole e negli uffici pubblici. Uno dei grandi successi in tal senso è rappresentato dall’istituzione, nel 1875, di un istituto magistrale trilingue, che operò a Capodistria fino al 1909. Il sentimento nazionale sloveno era presente anche in altri settori: nascevano i circoli di lettura (čitalnice) – la prima, nel 1869, a Dekani, poi, nel 1879, anche a Capodistria) – e si organizzavano grandi raduni (tabori) – i più importanti sono quelli di Kubed (1870) e di Dolina (1878). Una forte spinta all’idea nazionale slovena fu data anche dall’assemblea regionale istriana, tenutasi a Capodistria negli anni dal 1899 al 1910.
Periodo prebellico
Più favorevole, soprattutto se paragonato alla situazione politica, era lo sviluppo economico nei decenni prima dell’inizio della Grande Guerra. A Capodistria sorsero alcuni nuovi impianti industriali, nonché aziende, cantieri navali e banche. Importanti furono soprattutto i traffici merci e passeggeri, che portarono alla fondazione, nel 1882, della Società Cittadina di Navigazione a Vapore – Capodistriana.
Un grande successo fu la realizzazione della linea ferroviaria a scartamento ridotto che dal 1902 collegava Trieste e Parenzo e che sopperì, almeno in parte, ai pessimi collegamenti stradali dell’entroterra Capodistriano con Trieste.
La vita sociale dei cittadini si svolgeva in seno ai numerosi circoli culturali, sociali e religiosi. La borghesia si ritrovava nel più importante e più antico caffè cittadino, il Caffè della Loggia, gestito dal 1889 dalla Società del Casino della Loggia. Sebbene Capodistria, a differenza di Portorose, non avesse né le prerogative né le ambizioni per uno sviluppo del turismo, già verso la fine del XIX secolo sorsero alcuni alberghi con servizio autovetture, due bagni marini e numerose locande. Nel 1908 iniziò la propria attività il primo cinematografo, Elektron, mentre già nel 1905 Capodistria era stata dotata di una rete elettrica.
Nella vita economica, sociale e culturale della città ebbe grande eco la Prima esposizione provinciale istriana (1910); nell’ambito della rassegna ebbe un ruolo particolarmente importante la mostra di arte e cultura che pose le basi per l’istituzione, l’anno successivo, del Civico Museo di storia d’arte. Tra le principali istituzioni culturali vanno citati il teatro, la biblioteca (fondata nel 1878) e il circolo di lettura (čitalnica) Egida, attivo dal 1901. Ma una vera produzione artistica capace di varcare i confini della mediocrità provinciale era di fatto inesistente. Un qualche talento è riscontrabile solo nelle opere dell’artista capodistriano Bartolomeo Gianelli, che una volta terminati gli studi presso l’accademia di Venezia volle dedicarsi dapprima ai motivi religiosi per poi passare ad interessanti vedute e ritratti. Della propria ricca produzione artistica lasciò alcune opere di pregio anche alla natia Capodistria.
Sotto l’autorità italiana
In seguito alla firma del Trattato di Rapallo nel 1920 il Litorale sloveno e l’Istria vennero annessi al Regno d’Italia, il che non portò grandi novità nella vita economica del Capodistriano. L’economia della città continuava a stagnare mentre la disoccupazione aumentava. Quale sede del comune e della viceprefettura, Capodistria diventò nel periodo tra le due guerre il centro del movimento nazionalista istriano. Dopo la capitolazione dell’Italia e la liberazione nel 1945 furono poste le basi per una riconfigurazione politica, sociale ed economica dell’intera area costiera.
La liberazione e l’adesione alla Slovenia
Il periodo che va dalla liberazione nel 1945 fino a settembre del 1947, quando entrò in vigore il trattato di pace con l’Italia, e poi fino al Memorandum di Londra (ottobre 1954), è di fatto un’epoca di passaggio durante la quale Capodistria, quale centro della Zona B del TLT (Territorio Libero di Trieste), non poté svilupparsi molto rapidamente. I grandi cambiamenti economici, politici e sociali portarono all’esodo di gran parte della popolazione autoctona cittadina, ma in parte anche rurale, verso la vicina Italia, modificando con ciò la struttura etnica dell’intera area.
L’adesione alla Slovenia, nel 1954, aprì di nuovo le porte di Capodistria ad una crescita economica e sociale pianificata con la predisposizione di ambiziosi piani di sviluppo. In qualità di centro regionale e circondariale, in seguito comunale, con le sue numerose istituzioni amministrative, politiche, scolastiche e culturali, Capodistria assumeva il ruolo principale nello sviluppo economico dell’intera area costiera. Dopo la perdita di Trieste, che per secoli aveva condizionato e vincolato il ruolo di Capodistria nell’Adriatico settentrionale, iniziò, nel 1657, la costruzione del porto – la prima “finestra verso il mondo” della Slovenia. La società Luka Koper diede nuovo lustro allo scalo capodistriano che già in passato era stato superiore a quello di Trieste e Fiume.
La veloce crescita industriale richiamò in città molti nuovi abitanti – fu allora che sorsero i nuovi rioni oggi semicentrali: Giusterna, Semedella, Olmo – Prisoje e Salara. Nelle aree di bonifica presso Semedella e San Canziano nacquero nuove industrie, negozi, centri direzionali, magazzini, edifici amministrativi, impianti sportivi, aree di svago e collegamenti stradali. Nella zona nordorientale del centro cittadino si sviluppò il complesso portuale, mentre parte della bonifica di Ancarano fu adibita al traffico ferroviario di merci e passeggeri. Il complesso portuale è oggi importante non solo per l’entroterra Capodistriano, ma anche per un’area ben più ambia che tocca, grazie all’alta specializzazione offerta dallo scalo, anche l’Europa centrale ed orientale.
Oggi…
Nel comune risiede una popolazione maggioritaria slovena e minoritaria italiana che, grazie al bilinguismo, mantiene la propria lingua e gli altri valori della comunità nazionale italiana. Dall’intreccio di conoscenze, esperienze, interessi e valori delle due nazionalità, scaturisce una peculiare e più ricca “cultura di confine”, all’insegna della convivenza, della cooperazione e dell’amicizia.
L’immagine stessa della città vecchia resta oggi, grazie alla sua specifica struttura paesaggistica, un prezioso monumento urbanistico collocabile in un più ampio contesto mediterraneo. Una passeggiata nel centro storico ci fa scoprire il linguaggio degli stili che si sono susseguiti in varie epoche e la continuità dell’espressione creativa che ha forgiato, nel corso dei secoli, quest’interessante ed attraente centro costiero.
Gli edifici ristrutturati, le vie e le piazze, soprattutto le maggiori piazze France Prešeren e Carpaccio al margine del centro storico, nonché la piazza principale con il Palazzo Pretorio, la Loggia e il Duomo, dove possiamo ammirare le forme gotiche, rinascimentali e barocche, le numerose epigrafi e i motivi araldici, fanno ancora oggi da cornice ad un ambiente artistico prestigioso che cattura l’attenzione, la curiosità e l’ammirazione di visitatori provenienti da vicino e da lontano.
Fonte: Salvador Žitko, Slobodan Simič – Sime: Koper – Capodistria, Vodnik po mestu (IKI 1999).